Posts written by .happysong.

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    Arriva con Sara, in coda poi per salutare Dorothea e Cyrus, e intanto saluta Diana con la manina.

    beatrice
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    lemoine
    In ogni cosa si riesce a trovare un'occasione.
    Te le ricordi feste come queste. Forse non nello sfarzo e nell'ufficialità formale, lustrata, così pubblica, ma non si tratta di quello. Ti basterebbe cercare un po' indietro, non troppo, anche se sembra un'eternità fa, nell'aspettare come una ragazzina infreddolita ma allucinata dalla sola idea di incrociare lo sguardo di una singola, tanto attesa, persona.
    Ma non si tratta neanche di ciò che deriva dall'amicizia con Sara, con la sua personalità ed il suo ruolo, o come lei anche Madeleine, che ti porta sempre, in occasioni pubbliche, a finire allo stesso modo sotto l'occhio delle loro guardie del corpo. Non sono poi molti gli eventi come questi dove prima di chiamarla "sorella", se non sussurrandoglielo all'orecchio, devi appellarti a lei come "Principessa".
    In ogni cosa si riesce a trovare un'occasione, anche in questo, anche se - forse solo Sara lì lo sa - dopo il lusso di questa serata il tuo pensiero correrà a casa. Ma ad Okefenokee, lontano da tutto il caos, anche dal lustro, da una faccia da fotografie patinate, che è quanto di più lontano c'è da tutto questo, dove forse però ci stanno le cose vere, quelle che hanno davvero valore, molto più di un collier di diamanti o uno champagne pregiatissimo. È proprio per loro che sei qui stasera, sebbene sembri un paradosso, sebbene i tuoi figli si addormentino con suoni lacustri.
    Non ti è mai piaciuto avere segreti con Sara, e continua a non piacerti, ma come lo hai fatto con Søren adesso sei costretta a farlo anche con lei, come con chiunque altro. Ci sono stati momenti in cui avresti desiderato dire tutto, ogni singola cosa, della tua storia, del tuo futuro già segnato prima ancora che tu potessi cominciare a visualizzarlo, o programmarlo. Ma se c'è una cosa che ti ha cucito la lingua, anche quando per disperazione avrebbe voluto sciogliersi, è stato proprio lo scopo, quello ultimo, definitivo: proteggere i tuoi. Suona banale, forse, ma è diventato così tremendamente reale quando anche Søren è diventato parte del branco, e allora è diventata imperativa la necessità di proteggerlo anche per quello. Difendere una causa, una causa non perfetta, non moralmente limpida, di tua madre e di tuo padre prima che tua, ma che ti permette di difendere ciò che reputi giusto, a prezzi spesso molto alti.
    Lo sguardo ti scivola con falsa indifferenza tra gli invitati. Poi si accende di curiosità davanti agli artifici magnificenti, alle superficie specchianti e brillantissime.
    Apri, non troppo, la clutch girando con un paio di dita lo specchietto all'interno per controllare il tuo riflesso.
    «Se perdo la collana o gli orecchini mi uccidono o uccidono te?» dici avvicinandoti all'orecchio di Sara, come se le stessi sussurrando un cortese commento, ma sperando, quasi maliziosamente, di strapparle invece un'espressione diversa da quella composta ed elegante da perfetto profilo fotografico.
    E fingi di non soffermarti troppo su Quincy Auberon Rowle, come ti ha dato indicazioni Callum. Piuttosto ti guardi ancora attorno. Noti al bar Diana Gallows. Aspetti che incroci la tua direzione per sollevare appena una mano nella sua .
    L'occhio scivola di nuovo addosso a Rowle solamente quando lui e la sua compagnia vi lasciano modo di avvicinarvi ai patroni dell'evento.
    «Signora Lovecraft, Signor Selwyn, vi ringrazio per l'invito. Beatrice Morel Lemoine, dal Centro Analisi del Reliquiarium.» ti presenti, ovviamente dopo che Sara abbia terminato di parlare, secondo etichetta.
    «Stasera accompagno la Principessa.»
    Ti punge una sorta di divertimento, ma la ricacci nascondendola dietro alla solita maschera cordialmente sorridente.
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    Numero 21
    Ballo yepp
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    happysong richiede la chiusura del seguente topic: x
    Motivazione: conclusa <3
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    egon
    egon
    egon
    egon
    sholokov
    Non si sentiva perfettamente a suo agio in locali troppo eleganti o in vista. Non era mai stato il suo mondo, semplicemente questo: la paga era sempre la solita e non gli aveva mai permesso di montarsi la testa. Neanche quando era stato in grado di mettere da parte il suo gruzzolo gli era riuscito, neanche adesso, che la necessità lo aveva fatto partire assicurandosi qualche garanzia in più. No, non era mai stato tentato da nulla, Egon, era semplicemente cresciuto così. O forse era stato fabbricato già in questo modo, con questo senso di disillusione, con un schermo, una patina opaca davanti agli occhi che attenuava sempre tutto, rendeva le cose sempre sfumate, i luccichii più interessanti affievoliti, i bordi mai così netti, le convinzioni mai così ferree, neanche la morale mai così perfettamente definita. Le scelte difficilmente erano immuni alla contraddizione: non esistono veri assolutismi, c'è sempre qualcosa con cui contrattare, c'è sempre una mediazione, un medium che traduce l'idea - o l'ideologia - in realtà applicabile, e nel farlo adatta le cose, cede inevitabilmente ad un compromesso, visibile o invisibile che sia. Non esistono assolutismi. Tanto che alla fine non si tratta più nemmeno di quello, di contraddizione. Si tratta solamente dei fatti. E non si tratta di una mera giustificazione che Egon dà a sé stesso ogni giorno per motivare la Corruzione, per non aver saputo rifiutare le condizioni poste dai piani alti. Forse, ma è più convinto che nelle cose sia stato lui, volontariamente, a scegliere di farsi trascinare. Perché non c'era molto da perdere, come se fosse stato sin dall'inizio progettato e poi fabbricato per essere così, per essere più strumento, anche di sé stesso, che mente pensante, progettista. Le cose perse, come Amarna, facevano parte di quelle cose che di per sé erano nate ed erano state scelte per essere sacrificabili. Senza alcuna forma di pietismo o di vittimismo. Supponiamo che esistano davvero delle persone al mondo pensate per questo, per essere semplicemente sacrificabili per fini altri, più o meno alti, non per forza eroici, come se il mondo funzionasse come una bilancia. E a questi soggetti viene concesso il tratto di non saper sognare il futuro. Per questi soggetti è come vivere in un loop, in un anello che scivola, rotola in avanti sulla linea del tempo, come per qualsiasi cosa, ma il cui interno è un costante ripercorrere forme di passato vecchio e nuovo che si depositano l'una sull'altro costituendo una spirale.
    Non esiste la contraddizione, esiste solo il compromesso e la traduzione. Quando poi si trascende il proprio spazio e il proprio tempo finisce per diventare una sorta di regola quantica, un'equazione etica insolvibile. Questa New York è simile alla sua ma tra le due non vige nessuna identità, nessuna variabile x che possa metterle in relazione di uguaglianza. Esiste solamente una disuguaglianza, un bilancio, e la parte della stringa da cui proviene Egon sta nel verso di "inferiore".
    Ci è tornato più e più volte a Brooklyn, anche se un'irrazionale inquietudine non gli permette di sostarci troppo. Non si tratta neanche di Amarna o di tutta quella gente spazzata via. È come se il terreno, dopo un po', cominciasse a mancargli sotto i piedi, e allora ci sta una frontiera precisa, qui ancora visibile, oltre la quale sente di poter distendere i nervi. Come una sorta di sogno premonitore, come se lui fosse venuto direttamente dal futuro.
    Stringe il collo della bottiglia e prende un sorso di birra. Non vuole spenderci più del dovuto in questo posto. Gli basta tenere l'occhio su uno dei capo dipartimento della Piramide seduto quasi in fondo alla sala.
    Il compromesso e la traduzione.
    Difficile spiegare che una volta lavorava per quelle stesse istituzioni. Tutto sprofondato insieme con Brooklyn.
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    dimensional phenomena
    dimensional traveler black mage 39 y.o. n.y. 6
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    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    kabakov
    Non aspettavi altro, davvero nient'altro se non vederla, finalmente.
    Casper non è un territorio facile, ma resta sempre casa, anche se le ultime persone che vorresti incontrare oggi sono proprio Anson e Nestor. Semplicemente perché non è il momento, paradossalmente non è neanche il luogo, sebbene questo posto appartenga più a loro di quanto non sia mai appartenuto a te, a maggior ragione adesso. Ma ci sono cose che non hai voglia di spiegare, neanche solo di rischiare di sfiorare: troppo complesse da spiegare a loro, si incapperebbe in altro, in qualcosa di potenzialmente incompreso e quindi indesiderato. Putnam Valley stringe forte tra i denti il suo diritto di esistere e lo scopo che giustifica la sua esistenza. E non è per questo che sei qui, che sei corsa a Casper, dove sei nata anche tu, quando Mireya ti hanno detto che potevi finalmente farlo.
    Ci sono momenti che sono di passaggio, ed uno è la nascita, specialmente per gente come voi. Ci sei passata già tante volte da sapere che non si tratta mai solamente di qualcosa di solitario: una donna che soffre da sola e poi gioisce più di chiunque altro con il sollievo di aver messo al mondo una vita. Ci sei passata già tante volte da sapere che si tratta sempre di un consesso, di donne necessarie, desiderate e non, ma vengono chiamate ad assistere a questo passaggio, dalla madre al figlio, della madre e del figlio.
    Per questo avresti voluto esserci per Mireya, non soltanto perché sei annoverata ormai tra le madri "esperte", perché sei in grado di capire se le cose stanno procedendo come devono, naturalmente, per una semplice conoscenza pratica, viscerale prima ancora che empirica, ma perché avresti voluto assistere a questo passaggio nella vita del figlio di tuo fratello. Glielo dovevi. Non che fosse tuo compito farne le veci, anche quando gli era stata concessa la grazia di vedere nascere sua figlia, ma perché era una condizione di quella silenziosa promessa mai veramente stretta se non nella reciproca appartenenza e fedeltà. Come se fosse un figlio mio, come i suoi erano figli di Rufus, a dispetto di quanto potesse pensarne Andre, con la sua avversione nei suoi confronti. Giustificata o meno, non importava più. Certe cose non si potevano cancellare, fortunatamente.
    Sembra ieri di sentire Rufus accettare le condizioni di Anson per diventare capofamiglia. Che lo faceva anche per te, per non dover fare più i conti con quei segreti infami, per assicurarsi e assicurarti che certe cose non sarebbero più successe in futuro tra i Foulger, ai figli dei Foulger. Eppure sono già passati due anni.
    Due stramaledetti anni, che non ti va di rivangare: lo hai fatto contando ogni singolo giorno, incidendolo, sviscerando ogni singolo atomo di dolore per osservarlo sotto una lente forse troppo masochista. E forse ti serviva del tempo, che cicatrizzasse, ricucisse, e alla fine offrisse nuova imprevisto filo per continuare a ricamare un nuovo disegno della trama.
    Sembra ieri per tante cose, tante altre che sembravano vivere in un passato recente stanno scivolando direttamente al loro posto, tornano alla loro originale distanza, anche se stai perdendo anche la voglia di raccontartelo adesso per cui c'è qualcosa che il passato lo tiene a bada.
    Ma non è certo che venga compreso; no, ne sei certa, e hai ormai imparato che certe cose hanno bisogno di rimanere dove nascono, a Putnam Valley. Che è poi lo stesso motivo per cui ancora non racconti che sono notti che dormi con un altro uomo.
    Bussi alla loro porta quasi con un fremito, una scossa che dal gomito risale alle dita del pugno appena chiuso, mentre sotto braccio tieni infagottato quello che prima è stato dei tuoi figli maggiori e che ti sembra giuso ora passare a quelli di tuo cugino.
    hunter
    head of kabakov
    mother reliquary paleographer 35 y.o. wyoming
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    quando Nevermore. smette di traumatizzarmi
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    Ehi Ciao! Io sono Gine, o canzonefelice anche se ormai non ci credo manco più io. Benvenuta!!
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    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    kabakov
    Era diventato strano il silenzio in questa casa. Irreale, segno di qualcosa di doloroso che se ne era andato e non sarebbe destinato a tornare. È stato insopportabile, per un po'. Necessario riempirlo, e ora che un po' ti sta riuscendo di nuovo, adesso è un tipo di silenzio diverso. Uno quieto, uno che al posto della rassegnazione ha portato, lentamente, una calma sospesa di indecisione, la semplice e tiepida consapevolezza dell'imprevedibilità degli eventi. Una strada senza fondo, una mappa bruciata, una meta cancellata dalle carte. Come la speranza - e se non la speranza almeno la fiducia - che dalle spine ci rinasca qualche cosa, qualsiasi cosa, senza la fretta di scoprire cosa. Come una pianta che non sente il bisogno di troppa acqua, che si è abituata a centellinare quella poca, certa, che le viene data ogni giorno, e cerca di imparare a non chiederne di più. Oh non è facile, non lo è per niente, non è neanche un progresso che va solo avanti, evolutivo, sempre meglio. No è un percorso naturale, a salti, scossoni, discese, e, quando uno ci stava sperando troppo, di nuovo salite che son quelle cose che ti scopri incapace di sanare o di superare, anche se lo vorresti tanto a volte semplicemente per smettere di soffrirci.
    I bambini, ormai sono quasi l'unica cosa oltre a questa casa. E c'è di più oltre al crescerli, al fare tutto per loro. Certo che c'è. Vorresti persino dirti che è finito il tempo delle barricate nelle quali proteggerli, e ci provi. Non è ancora facile. Forse stai cominciando persino ad accettare il tuo limite, e questo, stai scoprendo, aiuta te e loro. Anche se non è ancora facile. Non quando la tua famiglia ancora chiede di valutare se tu sia davvero all'altezza della tua indipendenza. Non quando sei tu che ti sforzi per dimostrargliela, per mostrare quello che è e vuole diventare Putnam Valley. Anche se una volta le cose erano diverse.
    Ecco, vorresti provare a non pensarci più. Per quanto difficile sia però cercherai, con il tuo limite, di fare questo sforzo.
    Avere contatti però con famiglie esterne, non americane addirittura - o francesi - è già un traguardo raggiunto senza tante altre raccomandazioni o passaggi di parola prima attraverso le bocche dei tuoi Foulger. È già qualcosa, anche se ancora ci sono stanze della tua casa-biblioteca, tremendamente caotiche: pile di libri ancora a terra che devono finire su scaffali ancora da riordinare completamente, da spostare da una stanza all'altra. Una discreta mole che pensavi di gestire in tempi più brevi, ma alcune pile sono ancora lì, dopo settimane. Le cose più rare e preziose disposte già con cura, gli oggetti meno pregiati insieme alla polvere.
    Forse non era questo quello che la famiglia Callaway, e Kieran Callaway, si immaginavano arrivando lì dall'Europa. Molto americano, sì, anche il caos senza un vero inventario a gestirlo. Ti ci erano voluti due giorni, infatti - contando solo i ritagli il tempo libero e disponibile - per trovare quello che ti aveva chiesto, e che avevi ingenuamente creduto di poter reperire con maggiore facilità.
    Bussi leggermente alla porta socchiusa della stanza, dove un'oretta prima, passando hai intravisto il suo profilo slanciato e curvo su qualcosa.
    «Posso?».
    Scivoli piano nella stanza accorciando la distanza e allungandogli il libro.
    «Meglio tardi che mai? Era esattamente in mezzo al caos che ho ancora da risistemare.».
    hunter
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    mother reliquary paleographer 34 y.o. wyoming
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    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    Domanda semplice, risposta spinosa, non giustificata. Inaspettata, ma non troppo, onestamente. No, non è corretto: la risposta non è scontata, non lo è nemmeno per Alastor. Forse perché piuttosto che la sincerità si aspettava la solita smorfia, l'orgoglio vissuto di chi vuole tenere sotterrato un altro tipo di pensieri. Ma questo è Alastor; non dovrebbe essere Azrael, un Emissario, che delle macchinazioni umane non dovrebbe né avere ricordanza, né residui, né - soprattutto - nostalgia. Un certo tipo di titubanza dovrebbe essere più giustificato in creature come Alastor, anche se (bada bene) resta sempre un certo fastidioso difetto di fabbrica del Calvario; dell'ingranaggio, dell'estrusore che dalle ossa umane ne modella Banditori. Un residuo genetico, se vogliamo chiamarlo così. Ma tutto questo non dovrebbe esistere in un Emissario, nato direttamente dalla Scintilla di Aaos, dalla fonte prima, diretta promanazione di quella del padre.
    Eppure quello che ha davanti è una creatura che trema. E non lo fa la sua maschera umana; lo fa l'intera Scintilla, ed è questa l'anormalità.
    Azrael come un Emissario, creatura antica, che non voleva far ritorno a casa. Rimanere piuttosto aggrappato a qualcosa di così poco importante. Dire che non lo capisse, Alastor, tuttavia non è corretto: lui per primo doveva il suo "difetto di fabbrica" dall'attaccamento alle cose umane che lo avevano definito in vita. Unica ancora di salvezza di fronte alle follie deliranti dei Luogotenenti che chiedevano sangue e purga dell'intero Calvario. Sì, in fondo poteva capirlo.
    Ma non poteva capire la sua natura.
    Aaos aveva fallito. Aaos poteva fallire, e non perché aveva condannato il suo figlio alla stoltezza, ma perché quella stoltezza gli era per prima costata la protezione del padre. Il difetto di fabbrica imprevisto. Oh, se sarebbe piaciuto ai suoi conoscere i punti deboli dei fratelli reietti. Come, nella stessa proporzione, non avrebbero invece gradito questa sorta di simposio illecito che ormai si consumava da troppi, davvero troppi anni. Troppi persino per non aver cominciato a destare sospetti.
    Alastor non tradì alcuna espressione dietro gli occhiali neri. Portò la tazzina alla bocca solo quando sentì che l'angolo della bocca poteva incresparsi in modo indesiderati e incontrollati. L'alcol scivolò giù facendogli stringere i denti: il giusto stimolo per deviare una domanda a cui non avrebbe saputo dare uan vera risposta senza sembrare… senza sembrare nulla, in fondo; non ce l'aveva una vera risposta per Azrael. Forse perché semplicemente le cose, anche a lui, stavano bene così. Perché c'era troppo da perdere nel Calvario, perché era peggio della Terra, degli uomini, perché non era abbastanza divertente, stimolante, quello che volete, semplicemente non era a combattere tra le schiere di Samenar che si figurava. Lo stesso doveva essere per Azrael, accettando che la sua natura fosse ancora tanto inspiegabile quanto plausibile.
    «Ah, ho capito. No, certo, Mïriquāel è una vera stronza. Stronza? Stronzo? Bah, è uguale. Chi te li tiene d'occhio dopo i tuoi cucchiaini?»
    Che non sapeva in che altro modo dirglielo.



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    Hei!! Bentornata! <3
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    ORACLE OF RA 30 y.o TESS BISHOP HAKKA voice look aesthetic song
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    i don't belong in the world, that's what it is. something separates me from other people.
    «Sì.»
    Quel nome non mi è sconosciuto. Sì, me ne sono accorta, l'ho sentito, come sentii Morgan quando strinse quel patto che gli tolse l'anima: chiaro, netto, un profilo delineato. Non si trattava, in quel caso, semplicemente di un'aura diversa, era un buco, una voragine, qualcosa che mancava e che lasciava in lui uno spazio drammaticamente vuoto, impossibile da ignorare. Nel caso di Archer per certi versi è lo stesso: è un'anima però di una forma diversa, di un peso, una materia nuova, eppure sempre la stessa. Come un oggetto cangiante, un ibrido perfettamente fuso, evoluto, un uomo cresciuto, nuovo, eppure perfettamente riconoscibile.
    Xoya. Raktaneon lo ricorda. Anche Volontà.
    «Non è solo Rex. Lo siamo anche io, Nova, Layla.»
    Solo che con loro il legame era diverso. Con loro Raktaneon si assicurò di potersi ricongiungere, sia per sangue, sia per volere proprio e manipolazione.
    Mi destò un attimo, sospesa su quel pensiero, di fronte all'immagine diversa, rinnovata, della sua anima e degli echi che essa emette. Gli indico con un cenno il divano, perché non è una cosa che voglio ignorare questa. Come potrei del resto. È qualcosa che mi stupisce ma, in un certo senso, non mi lascia sbalordita. È piuttosto come se un pezzo del puzzle fosse tornato al suo posto, come una cosa che doveva essere così da sempre, e mi rallegra, mi restituisce una sorta di pace viscerale, antica, al punto che non so dove finisce la mia e comincia quella dell'anima che vive in me. Anche se ormai ha sempre meno senso provare a fare una distinzione.
    «La prima è stata Rexana che è entrata in contatto con la reliquia, poi è successo a tutte noi. Ma poi sei tornato, e ha svegliato anche te.»
    Il pezzo che torna al suo posto. Archer che ritorna, Xoya che si risveglia. Ho provato per tanto tempo a cercare di convincermi che esistesse davvero la casualità nella nostra vita di Oracoli e di veggenti, e forse ora ho capito perché in realtà per noi fosse come tutto già scritto. Ma non è un peso adesso.
    «Sono anime, molto antiche. Tu non sei lui, ma la sua anima ha scelto ed è nata con la tua. Per questo possiedi i suoi ricordi. E riaffioreranno, lentamente, a mano a mano saranno più chiari, credimi. Il fatto che già tu conosca il suo nome e la sua creazione è abbastanza.»
    Non è un caso neanche che siamo tutti quanti Bishop. Raktaneon si è preoccupato di portare con sé i suoi, ma forse è semplicemente il naturale ordine delle cose che tutti, in un modo o nell'altro, trovino la strada per incontrarsi di nuovo.
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    Ohhhh welcome!! Io sono la Gine! Benvenutissima! <3
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    Cass , Rose e Tal




    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    «Sì ma no che dopo ti divento ufficialmente la parrucchiera, eh.»
    Che non sarebbe nemmeno così male in fondo. Ho fatto di peggio. Solo che non voglio ritrovarmi con la responsabilità e la colpa di avergli, che ne so, cotto e bruciato i suoi lucidi capelli per colpa del decolorante tenuto troppo in posa. Lo stronzetto ne ha di nuance more da dover tirar giù, e, onestamente, no, non credo in realtà di essere la persona più indicata per questo tipo di lavoro, no. I miei metodi sono decisamente più rapidi grazie ai geni di mamma, ma anche decisamente poco indicati nel suo caso. A pensarci, credo di non aver ancora apprezzato abbastanza la comodità dei miei tratti facciali instabili.
    Gli faccio il dito medio, continuando a guardare Rose, quindi cercando semplicemente il profilo del suo viso per rompergli le palle e spalmargli una mano in faccia.
    E poi di fronte alla stella, alla sua faccia, alla mia faccia che risponde alla sua, e poi di nuovo alla sua espressione, e ancora il vischio, comincio a ricordare una cosa, beh... almeno a farci un attimo i conti. Conti che, alla fine, calcolate tutte le incognite sui fattori "Rose", "stelle vaganti" e "vischio improvviso", portano, oltre l''uguale', alla considerazione che forse non è stata la scelta migliore questo pub. Nulla togliere a Rose eh, il posto è fantastico, si sta bene, si respira nonostante la calca e la musica è buona, ma per Cass...
    Mi dico pure che la colpa in parte è anche mia, che alle cose dovrei pensarci un po' di più, smettendo di dare per scontato che lui sappia quelle"certe cose", ma è un errore, Cassian non sa un cazzo: è un errore madornale. Come ho fatto a non pensarci? Davvero, intendo. La domanda - lo sento - è già diventata un tarlo, una spia rossa che non fa troppo rumore ma che è lì, nella testa, e mi innesca tante altre domande, tutte riguardanti lo stato di salute della mia attenzione e della mia memoria. Perché ora spero solo che non succeda altra roba ancora più strana di questa, che strana lo è già abbastanza.
    «Va bene, tanto son ricca.»
    E sì, decisamente mi approfitto del fatto che lasci il bancone e si allontani per un attimo, perché non avrei saputo come gesticolare a Rose di tacere su certe, determinate quanto determinanti, specifiche cose.
    Sta diventando una relazione complessa.
    Però per l'intrattenimento se ne guadagna dieci di stelle.
    «Ma che deficiente. Guarda ora come lo mena.» commento a voce alta, presumibilmente anche a Rose sempre dietro il bancone, forse, con grande probabilità, invece già intenta a prendere gli altri duemila ordini della gente accalcata lì.
    Ah no, non lo mena. Forse è un tipo troppo distinto. Forse Cass ci ha preso pure, e lì son cavoli suoi.
    «Ah no. Ma sei proprio un coglione!» cerca di farsi largo nel casino del locale, forse pure con un po' troppo di euforia, tutta alcolica. Sì perchè poi il fatto che il tizio si avvicini non sembra prospettare proprio benissimo. Magari gli è piaciuto davvero, e lì le cose vanno a finire in due modi: o io resto da sola a fare il palo e buonanotte, Buon Natale, oppure dovrò cercare di tirare fuori Cass dall'incubo "il tipo che ho limonato ora ci prova con me", e aggiungerei giustamente.
    «Gentilissimo.» rispondo accennandogli un sorriso, e guardandolo senza sembrare troppo... insomma... troppo.
    Ora non so onestamente quale delle due opzioni preferisca.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

    code role © hime. created for Brakebills GDR ma di libero usufrutto ovunque
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    ORACLE OF RA 30 y.o TESS BISHOP HAKKA voice look aesthetic song
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    Non pensavo sarebbe stato così. In realtà non ci pensavo affatto. Non ci ho pensato per tutto il tempo della gravidanza, così come non ci ho pensato quando ho visto Nofret per la prima volta. Nonostante tutto, nonostante il patto, il vincolo che mi lega, che ci alla divinità, nonostante il fatto che più volte durante questi nove mesi abbia pensato che fosse una sorta di trappola, una fabbricata da me stessa, l'ennesima per mettere in salvo i miei e per foraggiare il mio crudele bisogno di fare l'eroe, nonostante tutto la prima volta che ho visto Nofret ho semplicemente pensato che fosse giusta. Giusta in tante cose. Non era del mondo, non era una Bishop, non era di - nemmeno so se mi è lecito pensarlo - non era di Ra. Era semplicemente mia. Forse per poco tempo, forse soltanto in quell'istante, però era uscita da me e mi andava bene, mi bastava, era decisamente più che sufficiente. E continuo a pensare che, alla fine, se ho lei, anche soltanto per poco, anche soltanto una parte di lei, non ho bisogno di altro. Ho bisogno solamente di lei. Non c'è uomo, non c'è entità divina che possa sostituirla, e credo che neanche Ra me la toglierà veramente del tutto.
    Per questo capisco anche l'attaccamento di Rex ad Arkell, quel cordone ombelicale che non riesce a rompersi e rimane un legame invisibile, viscerale, che lega il figlio al buio uterino della madre. Non mi piacciono gli stereotipi, le semplici e banali affermazioni o supposizioni di fronte ad una che diventa madre per la prima volta. Ci sono cose che non si possono spiegare, e che tirano fuori una sorta di possessività primordiale di cui no, non mi vergogno.
    «Grazie, Arch.»
    Gli prendo il pacchetto dalle mani, giusto per leggere alla svelta le etichette e farmi venire la giusta fame.
    «Più impegnata.» ma basta poco per dedurlo, forse l'aspetto meno curato, o meno del solito almeno, i gesti veloci delle mani che sistemano, rassettano, cercano con nervosismo i tasti del baby monitor che mi ha dato Rex quando è nata Nofret e ho dovuto accettare di farmi spiegare tutti i tecnicismi del caso.
    Vorrei spendermi in qualche parola in più con mio fratello, ma resto pur sempre un oracolo, o qualcosa in più. Così come l'ho sentito per Morgan, adesso lo sento adesso, come ogni altra volta. E non posso ignorarlo: è come un richiamo, come un arpione che mi prende alla nuca, o un fumo leggero che entra nelle narici e desta i pensieri del cacciatori.
    Allora sollevo gli occhi e lo guardo col silenzio di chi legge la Polvere di quelle scie divine.
    «Qualcosa è cambiato, Archer.»
    In lui. Non è lo stesso. È come se già lo sapessi.
  14. .



    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    Il fumo della sigaretta pian piano, lentamente, calma un po' le cose. Che cosa? Mah, semplicemente i pensieri. Li distende un po', li affusola e li fa fluttuare senza peso. Almeno non sono spigolosi, nervosi come sono di solito, inevitabilmente. Ci provo a rimettere i pezzi a posto, quantomeno a raccoglierli. Adesso non mi riesce fare molto altro, ma lo accetto, accetto di non riuscire a fare altro che pensare a questa ferita, no, a questo buco gigante che ho nello stomaco e che non mi fa dormire, non mi fa mangiare, mi permette solamente di indirizzare tutte le mie energie nel cervello e in quella parte razionale, meccanica, che se ne sta in un emisfero opposto a quello dell'emotività. Su quella non posso farci affidamento. E allora per evitare di fare cazzate mi spremo le meningi qui, in posti, da un certo punto di vista, terribili, e dall'altro perfetti: ne muoiono tanti in luoghi come questi, ma Lucian no, quindi non c'è rischio. Non so nemmeno come è che ci si possa sentire a sperare che il proprio amico, o qualcuno di caro, si risvegli, torni tra il resto dei viventi che si sentono soli. Non lo so, la mia è stata una separazione differente, uno strappo violento e imprevisto. Forse per questo mi aiuta ritrovarmi in situazioni diverse, opposte a quelle nelle quali ho vissuto io. Cioè… non lo so se mi faccia bene, so solo che mi riesce starci. Non mi spezza in due, almeno.
    Per il resto mi serve solamente tenermi occupata e non fare stupidaggini, come è successo con Horace. Quella me la sarei evitata, sì, con la giusta sobrietà dai pensieri del cazzo, sì, ne avrei fatto volentieri a meno, ma a quanto pare l'umiliazione personale deve essere una fase obbligatoria dell'elaborazione del lutto.
    La proposta, onestamente, non me l'aspettavo. Non che mi stupisca o addirittura scandalizzi, non sarebbe nemmeno la prima volta che accetto un passaggio da uno sconosciuto. Ma cerco di evitare scelte discutibili, quantomeno per non preoccupare troppo papà, che già fatica insieme alla mamma a sapermi necessariamente da sola a Sunset Park.
    «Cazz- invitare a cena non usa più?» ma no, onestamente non l'ho intesa neanche così, banalmente.
    «Sorry, non sei il mio tipo, biondino mi sfilo il mozzicone di sigaretta dalle labbra e mi chino per spengerlo in un angolo, tra il parapetto e il tetto, dove non si noti troppo la sua bruciacchiata presenza, e senza essere costretta a portarmelo sotto la suola delle scarpe - troppo poco ospedaliero.
    «E devo finire qui.» per poi andarmene a casa e tenere la testa lontana dai pensieri cercando di studiare ancora un po' e rimanere con il cervello qui o al Sacred, semplicemente lontana da Lucian.
    «Tienitela per un momento migliore questa carta. Non era così pessima.»
    No, in fondo era carina, dai.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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  15. .
    Cass e Rose




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    «Oh, oh, non credevo fossi anche simpatico. Sarà perché sei un finto biondo.»
    E dire che non mi sono impegnata nemmeno troppo stasera. No, a dirla tutta so di poter fare di "peggio", sicuramente di trovare almeno una coerenza nel vestire. Forse inaspettatamente: a volte già io mi sento più una personalità da jeans e camice, senza niente di pittoresco o eclettico. E poi va a finire che mi butto sul cranio un fiocco ridicolo nella speranza che renda meno ridicolo tutto il resto, ma lo ripeto: mi sarei sentita una brutta persona se avessi lasciato Cass da solo con quel maglione osceno.
    Se poi vogliamo concentrarci sulla secondo commento, il fatto è che, a parte prenderci per il culo - con abbastanza naturalezza ormai - in realtà non avrei comunque nessuna intenzione di quel tipo. Non mi è passato neanche mai per l'anticamera del cervello in questo anno, né ho mai provato desideri o necessità strane derivate da… chiamalo bisogno, chiamala nostalgia, chiamala come cazzo ti pare, ma non c'è stato nulla del genere... o quasi... a parte quella volta che... va bè lasciamo stare, non mi va proprio di rivangare. Per davvero. Ma non pretendo nulla, Cass semplicemente non lo può sapere che a un anno da che è morto Lucian io di festeggiare non ne ho nessuna voglia. Perché, paradossalmente, se sono qui stasera e non a casa mia, con la mia famiglia (o quello strano conglomerato che si definisce tale), è proprio perché non ho voglia di festeggiare. Non con consapevolezza, non con il desiderio di spendere un sereno Natale con le persone più amate, come si fa tradizionalmente. Voglio solamente non pensarci troppo a quello che è successo, anche se la malinconia prende con così tanta facilità il sopravvento. Forse questa necessità mi rende egoista, ma rischio pure di non uscirci. Ed io certe cose non le voglio dimenticare ma vorrei solamente imparare a conviverci come meglio posso. Ci sono stati momenti peggiori di questo, sicuramente.
    Poggio i gomiti sul bancone, quanto basta, in realtà, per prendermi un attimo di spazio senza ricevere altre spintonate, e riuscire a scambiare qualche parola con Rose.
    «Sto fissa al Sacred Heart. Mi lasciano staccare giusto per le vacanze.» e nel dirlo mi ricordo anche di quel piccolo, insignificante dettaglio che rende Cass ignaro praticamente… cazzo, almeno del 70% della mia persona stessa. Non credo di essermi mai ritrovata in una situazione come questa in effetti. Non credo, in effetti, di aver mai stretto veri rapporti con un no-mag, non a questi livelli, non al punto da farmi sentire una vera stronza per certi versi.
    «E te e Joel qui dietro?» cerco di virare veloce il discorso e non indugiare troppo sulla questione del Sacred Heart.
    Mi volto poi verso Cass, ma solo perché mi ritrovo una stella praticamente appesa sotto al naso.
    «Guarda che non è mio, io gli scherzi li so fare.»
    Prendo un sorso dalla birra appena passata.
    «Sei l'angelo del Natale.» le butto un bacio, cercando nella tasca dei jeans qualche soldo. In effetti è buona, anche se sembra pizzicare sotto la lingua.
    Il tempo di passare la seconda birra a Cass che lo vedo. Con la coda dell'occhio, ma basta, lo riconosco subito. Cominciamo benissimo.
    «Oh…caaazzo...ohoh. Che sfigato.» lo sfotto, viso a viso, ondeggiando nel suo campo visivo, forse pure esagerando (esagerando? Sto esagerando sul serio?) e alzando l'indice verso il vischio che è appeso sopra il suo capo - perché non ce ne siamo accorti prima?
    «Sarà perché hai un bel faccino?» che quasi ti vien voglia di prenderlo per le guance.
    «Però io non ti bacio con quel maglione orrendo che ti ritrovi»

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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1124 replies since 29/7/2012
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